Il pensiero Transculturale
La psicoterapia transculturale studia il rapporto tra salute mentale e cultura. La società attuale, mobile e pluralista, pone l'individuo di fronte a nuove e complesse sfide: cognitive, affettive, psichiche, spirituali... ed il terapeuta transculturale è formato per coglierne la complessità insita in ogni singola persona.
Il rapporto tra mutamenti culturali, processi di adattamento e sviluppo di nuove patologie mentali trova la necessaria rispondenza nel rinnovamento delle pratiche di cura individuale e dell'intervento comunitario. Psicoanalisi e antropologia sono dunque le scienze di riferimento, per cogliere l'assetto psichico prodotto dalla cultura locale. Tale realtà, più evidente per gli stranieri presenti in Italia, caratterizza d'altronde anche la popolazione autoctona.
La lettura transculturale dell’esperienza umana riconosce le sue origini nella prima metà del 1900, quando studiosi di differenti discipline (psicologi, sociologi, psicoanalisti, antropologi, linguisti…) iniziano ad interrogarsi sull’influenza del contesto, dell’esperienza quotidiana e delle pratiche culturali sullo sviluppo individuale e sociale della persona. Dagli studi su “cultura e personalità” che negli USA hanno coinvolto nomi illustri quali, Frank, Kardiner, Dollard, Fromm, Mead, Sapir, alle ricerche di Malinowski a Cuba, l’approccio transculturale (originariamente “transculturaciòn”, termine coniato per la prima volta da Ortiz, e poi ripreso da Maliniowski) nasce come riflessione sull’influenza dei contatti quotidiani tra culture sul processo di costruzione dell’identità e della personalità, contatti durante i quali ciascun soggetto dà e prende qualcosa all’altro. All’interno di questo quadro nosologico nasce pochi decenni più tardi la psicoterapia transculturale, che prende origine dal pensiero di Georges Devereux, psicoanalista ed etnologo ungherese migrato negli USA, negli anni ’40. Devereux, nella sua lunga e ricca ricerca psico-antropologica fa emergere in maniera chiara la complessità dei legami tra cultura e individuo, e le implicazioni che da essi derivano per la comprensione e la cura della sofferenza psichica. Secondo l’autore solamente dalla presa di coscienza dell’inevitabile influenza dell’osservatore sull’osservato può avere origine la relazione transculturale tra paziente e terapeuta, nella quale giocano un ruolo di primo piano transfert e controtransfert culturale. Contemporaneamente, visioni culturali (o disciplinari) differenti della stessa esperienza necessiteranno di un approccio complementarista, instaurando un doppio discorso nel quale la lettura della sofferenza dell’individuo si potrà avvalere di spiegazioni diverse che non si potranno integrare ma che comunque contribuiranno a dare una visione più ricca della situazione in esame. Avendo scoperto la dinamica della cultura come fondante lo psichismo (per tutti, occidentali e non), Devereux afferma che il terapeuta transculturale non necessità di studiare le mille culture del mondo, ma può usare la conoscenza di cosa sia la cultura in sé per trattare le varie patologie che di volta in volta incontra. Verso la metà del 1900 in Italia si sviluppa l’interesse per il tema della cultura a partire dai rapidi cambiamenti socio-economici del dopoguerra, con particolare attenzione ai processi di migrazione interna e verso la vicina Svizzera. Di questo periodo è il lavoro di Ernesto De Martino che riguardo all’esperienza dei migranti dalle campagne alle grandi industrie conia il termine “crisi della presenza”. Contemporaneamente Michele Risso studia l’esperienza di shock culturale che subiscono in svizzera gli operai provenienti dal Sud Italia. In ambito più prettamente psichiatrico, nel 1972 Luigi Frighi chiama Rosalba Terranova-Cecchini a scrivere un capitolo del suo testo di Igiene Mentale (1972): è la prima trattazione in Italia delle forme relazionali transculturali.